Abuso del diritto – Parcellizzazione del credito – limiti e condizioni

Cassazione – seconda sezione civile – relatore Falaschi – ordinanza n. 37543 del 22/12/2022

“Le Sezioni Unite di questa Corte, com’è noto, hanno affermato il principio per cui non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un “unico rapporto obbligatorio”, di proporre plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in quanto la scissione del contenuto dell’obbligazione, così operata dal creditore per sua esclusiva utilità con unilaterale modificazione aggravativa della posizione del debitore, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, che deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l’esecuzione del contratto ma anche nell’eventuale fase dell’azione giudiziale per ottenere l’adempimento, sia con il principio costituzionale del giusto processo, traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in un abuso degli strumenti processuali che l’ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale (Cass., Sez. Un., n. 23726 del 2007).”

“Si è posto, tuttavia, il problema se il principio così affermato, secondo il quale è vietato l’indebito frazionamento di pretese dovute in forza di un “unico rapporto obbligatorio”, debba, o meno, trovare applicazione (ed, eventualmente, in quali limiti) nella diversa ipotesi in cui siano state proposte distinte domande per far valere pretese creditorie diverse ma derivanti da un medesimo rapporto contrattuale, quale fonte unitaria di obblighi e doveri per le parti e produttivo di crediti collegabili unitariamente alla loro genesi, e cioè la volontà delle parti di stipulare un contratto, specie quando si tratta di controversie (recuperatorie di crediti) promosse a rapporto concluso, quando, cioè, il complesso di obbligazioni derivanti dal contratto è ormai noto e consolidato. Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 4090 del 2017, si sono pronunciate sul punto ed hanno affermato che, in linea di principio, le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, anche se relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi: tuttavia, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell’identica vicenda sostanziale, le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata (conf., in seguito, Cass. n. 17893 del 2018; Cass. n. 6591 del 2019). La sentenza, in particolare, ha evidenziato che il principio dell’infrazionabilità del singolo diritto di credito affermato dalla sentenza n. 23726 del 2007 non comporta inevitabilmente che il creditore debba agire nello stesso processo per far valere “diritti di credito diversi, distinti ed autonomi, anche se riferibili ad un medesimo rapporto complesso” intercorrente tra le medesime parti. D’altra parte, hanno ulteriormente osservato le Sezioni Unite del 2017, il creditore può, finanche in relazione ad un singolo, unico credito, agire con ricorso monitorio per la somma provata documentalmente e con il procedimento sommario di cognizione per la parte residua senza per questo incorrere in un abuso dello strumento processuale per frazionamento del credito. In effetti, “l’onere di agire contestualmente per crediti distinti, che potrebbero essere maturati in tempi diversi, avere diversa natura (ad esempio – come frequentemente accade in relazione ad un rapporto di lavoro – retributiva e risarcitoria), essere basati su presupposti in fatto e in diritto diversi e soggetti a diversi regimi in tema di prescrizione o di onere probatorio, oggettivamente complica e ritarda di molto la possibilità di soddisfazione del creditore, traducendosi quasi sempre – non in un alleggerimento bensì – in un allungamento dei tempi del processo, dovendo l’istruttoria svilupparsi contemporaneamente in relazione a Va quindi condiviso l’assunto (v. Cass. n. 14143 del 2021) secondo cui le Sezioni Unite del 2017, quindi, dopo aver ribadito il divieto di tutela frazionata del singolo diritto di credito in plurime richieste giudiziali di adempimento (contestuali o scaglionate nel tempo), hanno affermato il principio generale per il quale, al contrario, le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, pur se relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi. Ed è, naturalmente, una questione di diritto sostanziale la verifica se la pretesa creditoria azionata sia da considerare come un unico diritto di credito (non suscettibile di tutela processuale frazionata), come nel caso del diritto al risarcimento del danno (cfr., sul punto, Cass. n. 15523 del 2019) ovvero se si tratti della sommatoria delle prestazioni dovute in conseguenza di crediti distinti (che, in quanto tali, pur se relativi allo stesso rapporto di durata tra le parti, sono in linea di principio, suscettibili di tutela processuale separata, come nel caso, deciso dalle Sezioni Unite, del credito al premio di fedeltà aziendale e di quello al trattamento di fine rapporto afferente al medesimo rapporto di lavoro subordinato). Il principio della proponibilità in separati processi di domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, dunque, soffre di due possibili eccezioni, tra loro alternative, che operano nel caso in cui i suddetti diritti di credito, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche riconducibili al “medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato” ovvero siano “fondati sul medesimo fatto costitutivo”.

“Nell’una e nell’altra ipotesi, infatti, poiché le distinte pretese creditorie non possono essere accertate in altrettanti distinti giudizi se non a costo di una duplicazione dell’attività istruttoria e di una conseguente dispersione di conoscenza dell’identica “vicenda sostanziale” che (“sia pure connotata da aspetti in parte dissimili’) è stata dedotta, in ragione dei differenti diritti di crediti azionati, nell’uno e nell’altro giudizio, le domande giudiziali ad esse relative non possono essere proposte separatamente, a meno che – ed è questo un dato imprescindibile – risulti dagli atti di causa che il creditore abbia un interesse oggettivamente valutabile alla loro tutela processuale separata. In altri termini, anche la sentenza delle Sezioni Unite del 2017 ha confermato che il frazionamento delle obbligazioni operato dal creditore per sua esclusiva utilità, con unilaterale modificazione aggravativa della posizione del debitore, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, che deve improntare il rapporto tra le parti sia durante l’esecuzione del contratto sia nell’eventuale fase dell’azione giudiziale per ottenere l’adempimento, traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in un abuso degli strumenti processuali che l’ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale. In sostanza le domande relative a diritti di credito analoghi per oggetto e per titolo, benché fondati su differenti fatti costitutivi, non possono essere proposte in giudizi diversi, Corte di Cassazione – copia non ufficiale 17 di 21 quando i menzionati fatti costitutivi si inscrivano in una relazione unitaria tra le parti, anche di mero fatto, caratterizzante la concreta vicenda da cui deriva la controversia, salvo che l’attore abbia un interesse oggettivo – il cui accertamento compete al giudice di merito – ad azionare in giudizio solo uno ovvero alcuni dei crediti sorti nell’ambito della suddetta relazione, unitaria (cfr. Cass. n. 14143/2021 cit.). Corollario di tali principi è l’osservazione che il giudicato copre, in tali condizioni, sia il dedotto che il deducibile con ciò intendendosi non soltanto le ragioni giuridiche fatte espressamente valere, in via di azione o in via di eccezione, nel medesimo giudizio (giudicato esplicito), ma anche tutte quelle altre che, se pure non specificamente dedotte o enunciate, costituiscano, tuttavia, premesse necessarie della pretesa e dell’accertamento relativo, in quanto si pongono come precedenti logici essenziali e indefettibili della decisione (giudicato implicito). Pertanto, qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano per oggetto un medesimo negozio o rapporto giuridico e uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento compiuto circa una situazione giuridica o la risoluzione di una questione di fatto o di diritto incidente su punto decisivo comune ad entrambe le cause o costituenti indispensabile premessa logica della statuizione contenuta nella sentenza passata in giudicato, precludono il riesame del punto accertato e risolto, anche nel caso in cui il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che costituiscono lo scopo ed il “petitum” del primo (cfr. Cass. n. 5486 del 2019). Tuttavia, laddove il nuovo giudizio – pur instaurato tra le stesse parti e attinente al medesimo rapporto – si fondi su una causa petendi diversa rispetto a quella fatta valere nella controversia nella quale è intervenuta una sentenza passata in giudicato ed abbia ad oggetto un diverso petitum in relazione al quale l’accertamento non insiste nel medesimo ambito oggettivo del giudicato e richiede comunque differenti attività istruttorie allora il giudicato non è preclusivo dell’ulteriore azione (cfr. Cass. n. 28963 del 2017). Nella prima ipotesi, infatti, la contemporanea sussistenza tra le stesse parti di crediti giuridicamente eguali, che, pur se non conseguenti allo stesso contratto, siano nondimeno riconducibili (come pretendono le Sezioni Unite) al medesimo “rapporto” che, nel corso del tempo, si sia venuto a determinare (anche se in via di mero fatto) tra loro, ne impone la deduzione (ove esigibili) nello stesso giudizio. In tali situazioni, in effetti, l’interesse sostanziale del creditore (salvo, naturalmente, che non sia dedotto e provato il contrario) può essere adeguatamente tutelato anche con una domanda unitaria, trattandosi, a ben vedere, di pretese sì distinte sul piano giuridico ma, in definitiva, concernenti pur sempre la “medesima vicenda esistenziale” e “sostanziale” (sia pure connotata da aspetti in parte dissimili): la cui trattazione dinanzi a giudici diversi, come le Sezioni Unite hanno espressamente evidenziato, incide negativamente non solo sulla “giustizia” sostanziale della decisione, che può essere meglio assicurata veicolando nello stesso processo tutti i diversi aspetti e le possibili ricadute della stessa vicenda, evitando di fornire al giudice la conoscenza parziale di una realtà artificiosamente frammentata, ma anche sulla durata ragionevole dei relativi processi, in relazione alla possibile duplicazione di attività istruttoria e decisionale su vicende fattualmente distinte ma tra loro simili e, spesso, connotate dall’esecuzione di prestazioni analoghe in contesti temporali ristretti.

 

 

 

 

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