Danno non patrimoniale da morte – Rapporto con la vittima – valenza non significativa della convivenza – Liquidazione – tabelle milanesi
Cassazione – terza sezione civile – Rel. Pellecchia – ordinanza n. 10335 del 18/4/2023
In tema di illecito plurioffensivo, ciascun danneggiato – in forza di quanto previsto dagli artt. 2, 29, 30 e 31 Cost., nonché degli artt. 8 e 12 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dell’art. 1 della cd. “Carta di Nizza” – è titolare di un autonomo diritto all’integrale risarcimento del pregiudizio subìto, comprensivo, pertanto, sia del danno morale (da identificare nella sofferenza interiore soggettiva patita sul piano strettamente emotivo, non solo nell’immediatezza dell’illecito, ma anche in modo duraturo, pur senza protrarsi per tutta la vita) che di quello “dinamico-relazionale” (consistente nel peggioramento delle condizioni e abitudini, interne ed esterne, di vita quotidiana). Ne consegue che, in caso di perdita definitiva del rapporto matrimoniale e parentale, ciascuno dei familiari superstiti ha diritto ad una liquidazione comprensiva di tutto il danno non patrimoniale subìto, in proporzione alla durata e intensità del vissuto, nonché alla composizione del restante nucleo familiare in grado di prestare assistenza morale e materiale, avuto riguardo all’età della vittima e a quella dei familiari danneggiati, alla personalità individuale di costoro, alla loro capacità di reazione e sopportazione del trauma e ad ogni altra circostanza del caso concreto, da allegare e provare (anche presuntivamente, secondo nozioni di comune esperienza) da parte di chi agisce in giudizio, spettando alla controparte la prova contraria di situazioni che compromettono l’unità, la continuità e l’intensità del rapporto familiare (Cass. n. 9231/2013).
Si è anche affermato che la convivenza non può assurgere a connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l’intimità dei rapporti parentali ovvero a presupposto dell’esistenza del diritto in parola, ma che la stessa costituisce elemento probatorio utile, unitamente ad altri elementi, a dimostrare l’ampiezza e la profondità del vincolo affettivo che lega tra loro i parenti e a determinare anche il quantum debeatur. In ogni caso non è condivisibile limitare la “società naturale”, cui fa riferimento l’art. 29 Cost., all’ambito ristretto della sola cd. “famiglia nucleare” (Cass. n. 21230/2016).
Quindi i congiunti devono provare la effettività e la consistenza della relazione parentale rispetto alla quale il rapporto di convivenza non assurge a connotato minimo di esistenza, ma può costituire elemento probatorio utile a dimostrarne l’ampiezza e la profondità.
La Corte territoriale, in violazione dei principi ripetutamente affermati da questa Corte, pur riconoscendo il danno morale, lo ha liquidato quantificandolo in un terzo del minimo previsto dalle Tabelle Milanesi sia per i genitori sia per i fratelli considerate la non convivenza e l’età dei genitori (75 anni) e l’età dei fratelli (29 anni) e l’età della vittima (22 anni) (cfr. pag. 8 sentenza impugnata).
Va premesso che, in tema di danno non patrimoniale da lesione della salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del risarcimento del “danno biologico”, quale pregiudizio che esplica incidenza sulla vita quotidiana e sulle attività dinamico-relazionali del soggetto, e di un’ulteriore somma a titolo di ristoro del pregiudizio rappresentato dalla sofferenza interiore (c.d. danno morale, “sub specie” di dolore dell’animo, vergogna, disistima di sé, paura, disperazione): con la conseguenza che, ove dedotto e provato, tale ultimo danno deve formare oggetto di separata valutazione e liquidazione, trattandosi di voci di danno tra loro diverse e derivanti dalla lesione di beni logicamente ed ontologicamente distinti che trovano riferimento, rispettivamente, nell’art. 29 e nell’art. 32 Cost. (Cass. 9857/2022; Cass. 4878/2019; Cass. 7513/2018).
In tema di danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, se la liquidazione avviene in base ad un criterio che prevede un importo variabile tra un minimo ed un massimo, è consentito al giudice di merito liquidare un risarcimento inferiore al minimo solo in presenza di circostanze eccezionali e peculiari al caso di specie, tra le quali non si annoverano né l’età della vittima, né quella del superstite, né l’assenza di convivenza tra l’una e l’altro, trattandosi di circostanze che possono solo giustificare la quantificazione del risarcimento entro la fascia di oscillazione della tabella (Cass. 26440/2022).
Pertanto, in tema di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, al fine di garantire non solo un’adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio in casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul “sistema a punti”, che preveda, oltre all’adozione del criterio a punto, l’estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l’elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, indefettibilmente, l’età della vittima, l’età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l’indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull’importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che l’eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella.
La Corte di rinvio dovrà applicare i predetti principi sia per la valutazione del danno parentale sia per la liquidazione del danno morale con riferimento ai nuovi valori tabellari previsti dalla tabella milanese del 9.6.2022, quale parametro risarcitorio già applicato nei precedenti gradi di giudizio.