Danno non patrimoniale – morte – Danno da perdita del rapporto parentale
Cassazione – terza sezione civile – Rel. Gianniti – ordinanza n. 26140 del 7/9/2023
Nella valutazione del danno alla salute, in particolare – ma non diversamente che in quella di tutti gli altri danni alla persona conseguenti alla lesione di un valore/interesse costituzionalmente protetto, giusta l’insegnamento della Corte costituzionale di cui alla sentenza 233/2003 – il giudice di merito deve valutare la fenomenologia della lesione non patrimoniale: sia nell’aspetto interiore del danno sofferto (cd. danno morale, che si colloca nella dimensione del rapporto del soggetto con sé stesso), che nell’aspetto dinamico-relazionale della vita del danneggiato (c.d. danno relazionale, che si colloca nell’ambito della relazione del soggetto con la realtà esterna, con tutto ciò che, in altri termini, costituisce “altro da sé”). “
“Il danno alla persona, nella sua dimensione umana ancor prima che giuridica, postula il riconoscimento, da un lato, della sofferenza interiore, dall’altro, delle mutate dinamiche relazionali di una vita che cambia a seguito dell’illecito (illuminante, in tal senso, è il disposto normativo di cui all’art. 612 bis del codice penale, in tema di presupposti palesemente alternativi del reato cd. di stalking). Si tratta di danni diversi e perciò entrambi autonomamente risarcibili, sempre che, e solo se, provati caso per caso, all’esito, si ribadisce, di articolata ed esaustiva istruttoria (c.d. comprovabilità del danno non patrimoniale), tenendo conto che il danno dinamico relazionale può formare oggetto di prova rappresentativa diretta, mentre il risarcimento del danno morale può rappresentare soltanto l’esito terminale di un ragionamento deduttivo, che tenga conto (oltre che delle presunzioni) del notorio e delle massime di esperienza.”
“Come noto, a fronte della morte di un soggetto causata da un fatto illecito di un terzo, il nostro ordinamento riconosce ai parenti del danneggiato un risarcimento iure proprio, di carattere patrimoniale e non patrimoniale, per la sofferenza patita e per le modificate consuetudini di vita, in conseguenza dell’irreversibile venir meno del godimento del rapporto parentale con il congiunto. Tale forma risarcitoria intende ristorare il familiare del pregiudizio subito sotto il duplice profilo, morale, consistente nella sofferenza psichica che questi è costretto a sopportare a causa dell’impossibilità di proseguire il proprio rapporto di comunanza familiare, e relazionale, inteso come significativa modificazione delle abitudini di vita – destinate, a volte, ad accompagnare l’intera esistenza del soggetto che l’ha subita.
Quanto alla prova del danno, non v’è dubbio che, in linea generale, spetti alla vittima dell’illecito altrui dimostrare i fatti costitutivi della propria pretesa e, dunque, l’esistenza del pregiudizio subito: onere di allegazione che potrà essere soddisfatto anche ricorrendo a presunzioni semplici e massime di comune esperienza (Cass. s.u. 26792/2008, cit.). Ebbene, nel caso di morte di un prossimo congiunto (coniuge, genitore, figlio, fratello), è orientamento unanime di questa Corte (Cass. n. 11212 del 2019; n. 31950 del 2018; n. 12146 del 14 giugno 2016) che l’esistenza stessa del rapporto di parentela faccia presumere, secondo l’id quod plerumque accidit, la sofferenza del familiare superstite, giacché tale conseguenza è, per comune esperienza, connaturale all’essere umano. Naturalmente, trattandosi di una praesumptio hominis, sarà sempre possibile per il convenuto dedurre e provare l’esistenza di circostanze concrete dimostrative dell’assenza di un legame affettivo tra vittima e superstite (Cass. n. 3767 del 2018).
Più in generale, in caso di risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, ferma la possibilità per la parte interessata di fornire la prova di tale danno con ricorso alle presunzioni, alle massime di comune esperienza, al notorio, con riferimento alla realtà ed alla intensità dei rapporti affettivi e alla gravità delle ricadute della condotta (cfr. Sez. 3, Ordinanza n. 11212 del 24/04/2019, Rv. 653591 – 01), spetterà al giudice il compito di procedere alla verifica, sulla base delle evidenze probatorie complessivamente acquisite, dell’eventuale sussistenza di uno solo, o di entrambi, i profili di danno non patrimoniale in precedenza descritti (ossia, della sofferenza eventualmente patita, sul piano morale soggettivo, nel momento in cui la perdita del congiunto è percepita nel proprio vissuto interiore, e quella, viceversa, che eventualmente si sia riflessa, in termini dinamico-relazionali, sui percorsi della vita quotidiana del soggetto che l’ha subita). In tale quadro emergerà il significato e il valore dimostrativo dei meccanismi presuntivi che, al fine di apprezzare la gravità o l’entità effettiva del danno, richiamano il dato della maggiore o minore prossimità formale del legame parentale (coniuge, convivente, figlio, genitore, sorella, fratello, nipote, ascendente, zio, cugino) secondo una progressione che, se da un lato, trova un limite ragionevole (sul piano presuntivo e salva la prova contraria) nell’ambito delle tradizionali figure parentali nominate, dall’altro non può che rimanere aperta, di volta in volta, alla libera dimostrazione della qualità di rapporti e legami parentali che, benché di più lontana configurazione formale (o financo di assente configurazione formale: si pensi, a mero titolo di esempio, all’eventuale intenso rapporto affettivo che abbia a consolidarsi nel tempo con i figli del coniuge o del convivente), si qualifichino (ove rigorosamente dimostrati) per la loro consistente e apprezzabile dimensione affettiva e/o relazionale.
Così come ragionevole apparirà la considerazione, in via presuntiva, della gravità del danno in rapporto alla sopravvivenza di altri congiunti o, al contrario, al venir meno dell’intero nucleo familiare del danneggiato; ovvero, ancora, dell’effettiva convivenza o meno del congiunto colpito con il danneggiato (cfr., in tema di rapporto tra nonno e nipote, Cass. n. 21230 e n. 12146 del 2016), o, infine, di ogni altra evenienza o circostanza della vita – come l’età della vittima, l’età dei superstiti (e la correlata eventuale presenza di famiglie autonome), il grado di parentela, le abitudini ed il grado rapporto di frequentazione (e, in particolare, le visite quotidiane e le vacanze trascorse insieme), i pranzi domenicali e festivi ed i momenti celebrativi passati insieme, l’eventuale abitazione in immobili contigui, il ruolo in concreto svolto dal de cuius nelle dinamiche della storia familiare dei parenti superstiti (tenuto anche conto del loro modello di famiglia di riferimento), gli eventuali atti di liberalità – che il prudente apprezzamento del giudice di merito sarà in grado di cogliere.