Danno patrimoniale da lucro cessante – compromissione della capacità di guadagno – criteri di liquidazione – coefficiente di capitalizzazione – scarto tra vita fisica e lavorativa (non più attuale) – onere di specificità ex art. 360 n. 4 cpc – interpretazione
Cassazione –terza sezione civile – rel. Dell’Utri – ord. N. 8349 del 27/3/2024
La Corte ribadisce il principio che “il danno permanente da incapacità di guadagno non possa più liquidarsi utilizzando i coefficienti di capitalizzazione approvati con r.d. n. 1403 del 1922, dal momento che questi ultimi, a causa dell’aumento della durata media della vita, e della diminuzione dei saggi d’interesse, non sono idonei a garantire un corretto risarcimento equitativo del danno. Sicché, per rispettare il principio di integralità del risarcimento ex art. 1223 cod. civ. la valutazione deve essere svolta mediante la moltiplicazione del reddito perduto ‘per un adeguato coefficiente di capitalizzazione’, alla stregua di parametri che considerino ‘da un lato, la retribuzione media dell’intera vita lavorativa della categoria di pertinenza, desunta da parametri di rilievo normativo o altrimenti stimata in via equitativa, e, dall’altro, mediante coefficienti di capitalizzazione di maggiore affidamento, in quanto aggiornati e scientificamente corretti, quali, ad esempio, quelli approvati con provvedimenti normativi per la capitalizzazione delle rendite previdenziali o assistenziali oppure quelli elaborati specificamente nella materia del danno aquiliano (Sez. 3, Sentenza n. 16913 del 25/06/2019, Rv. 654432 – 02; Sez. 3, Sentenza n. 9002 del 21/03/2022); nel caso di specie, la corte territoriale, risulta aver fatto corretta applicazione di tali principi, avendo ricavato il coefficiente di capitalizzazione dalle più recenti tabelle previdenziali e assistenziali elaborate dall’INAIL.
“Sotto altro profilo, dev’essere ormai destituita di alcun significato l’applicazione del tradizionale principio incline a giustificare una riduzione del risarcimento del danno in applicazione del coefficiente concernente lo scarto tra la vita fisica e la vita lavorativa, non comprendendosene più le ragioni operative nel quadro di un sistema che, attraverso la generalizzazione del criterio di liquidazione pensionistica su base contributiva, appare piuttosto vòlto ad aggravare (invece che ad attenuare) il pregiudizio patrimoniale connesso alla forzata inattività del lavoratore danneggiato”.
“L’onere della specificità ex art. 366 n. 4 c.p.c. (secondo cui il ricorso deve indicare “i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano”) non dev’essere inteso quale assoluta necessità di formale ed esatta indicazione dell’ipotesi, tra quelle elencate nell’art. 360, co. 1, c.p.c., cui si ritenga di ascrivere il vizio, né di precisa individuazione degli articoli, codicistici o di alti testi normativi (nei casi di deduzione di violazione o falsa applicazione di norme sostanziali o processuali), comportando invece l’esigenza di una chiara esposizione, nell’ambito del motivo, delle ragioni per le quali la censura sia stata formulata e del tenore della pronunzia caducatoria richiesta, che consentano al giudice di legittimità di individuare la volontà dell’impugnante e stabilire se la stessa, così come esposta nel mezzo d’impugnazione, abbia dedotto un vizio di legittimità sostanzialmente, ma inequivocamente, riconducibile ad alcuna delle tassative ipotesi di cui all’art. 360 cit. (cfr. Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013, in motivazione)”