Licenziamento discriminatorio – condizioni di operatività
Cassazione – sezione lavoro – relatore Michelini – ordinanza n. 9095 del 31/3/2023
“In tema di licenziamento discriminatorio, in forza dell’attenuazione del regime probatorio ordinario introdotta per effetto del recepimento delle direttive n. 2000/78/CE, n. 2006/54/CE e n. 2000/43/CE, così come interpretate dalla CGUE, incombe sul lavoratore l’onere di allegare e dimostrare il fattore di rischio e il trattamento che assume come meno favorevole rispetto a quello riservato a soggetti in condizioni analoghe, deducendo al contempo una correlazione significativa tra questi elementi, mentre il datore di lavoro deve dedurre e provare circostanze inequivoche, idonee ad escludere, per precisione, gravità e concordanza di significato, la natura discriminatoria della misura litigiosa (Cass. n. 23338/2018, in tema di recesso). Infatti, nei giudizi antidiscriminatori, i criteri di riparto dell’onere probatorio non seguono i canoni ordinari di cui all’art. 2729 c.c., bensì quelli speciali di cui all’art. 4 del d.lgs. 216 del 2003, che non stabiliscono tanto un’inversione dell’onere probatorio, quanto, piuttosto, un’agevolazione del regime probatorio in favore del ricorrente, prevedendo una “presunzione” di discriminazione indiretta per l’ipotesi in cui abbia difficoltà a dimostrare l’esistenza degli atti discriminatori; ne consegue che il lavoratore deve provare il fattore di rischio, e cioè il trattamento che assume come meno favorevole rispetto a quello riservato a soggetti in condizioni analoghe e non portatori del fattore di rischio, ed il datore di lavoro le circostanze inequivoche, idonee a escludere, per precisione, gravità e concordanza di significato, la natura discriminatoria della condotta (Cass. n. 1/2020; cfr. anche, in tema di discriminazione indiretta nei confronti di persone con disabilità, Cass. n. 9870/2022).La discriminazione opera in modo oggettivo ed è irrilevante l’intento soggettivo dell’autore. Non è dunque decisivo (a parte i profili di prova della conoscenza della situazione di disabilità del lavoratore di cui ai paragrafi che precedono) l’assunto di parte ricorrente di non essere stata messa a conoscenza del motivo delle assenze del lavoratore, perché i certificati medici delle assenze inoltrati al datore di lavoro non indicavano la specifica malattia a causa dell’assenza. Va, invero, confermato che la discriminazione – diversamente dal motivo illecito – opera obiettivamente, ovvero in ragione del mero rilievo del trattamento deteriore riservato al lavoratore, quale effetto della sua appartenenza alla categoria protetta, ed a prescindere dalla volontà illecita del datore di lavoro (Cass. n. 6575/2016).