Responsabilità del notaio – Identificazione delle parti
Cassazione – seconda sezione civile – Rel. Guida – ordinanza n. 15490 del 1/6/2023
“Per la giurisprudenza della Corte (Cass. 7/12/2017, n. 29321, che dà continuità a Cass. 10/05/2005, n. 9757; in termini, Cass. 12/05/2017, n. 11767; Cass. 28/12/2021, n. 41801) «[l]’art. 49 della l. notarile (nel testo fissato dall’art. 1 della l. n. 333 del 1976) secondo il quale il notaio deve essere certo della identità personale delle parti e può raggiungere tale certezza, anche al momento dell’attestazione, con la valutazione di “tutti gli elementi” atti a formare il suo convincimento, contemplando, in caso contrario, il ricorso a due fidefacienti da lui conosciuti, va interpretato nel senso che il professionista, nell’attestare l’identità personale delle parti, deve trovarsi in uno stato soggettivo di certezza intorno a tale identità, conseguibile, senza la necessaria pregressa conoscenza personale delle parti stesse, attraverso le regole di diligenza, prudenza e perizia professionale e sulla base di qualsiasi elemento astrattamente idoneo a formare tale convincimento, anche di natura presuntiva, purché, in quest’ultimo caso, si tratti di presunzioni gravi, precise e concordanti; l’accertamento relativo è demandato al giudice del merito, il cui giudizio è incensurabile in cassazione se motivato in maniera congrua e logica».
Nella fattispecie concreta, per la sentenza di appello, il notaio ha identificato le parti sulla base delle carte di identità (successivamente risultate non autentiche), che ha fotocopiato, dell’esistenza di una procura speciale a vendere (la cui sottoscrizione poi è risultata apocrifa) e facendo affidamento sulla presenza all’atto dei funzionari bancari e di intermediazione con i quali le parti avevano intrattenuto pregressi rapporti. A giudizio della Corte territoriale, il notaio non ha assolto all’obbligo di adeguata diligenza professionale sancito dall’articolo 49 (legge notarile) poiché la sua certezza soggettiva della identità delle parti, raggiunta al momento dell’attestazione, non è stata conseguita attraverso elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti. Tanto più che – chiosa la sentenza fondandosi sul puntuale vaglio degli aspetti meritali – la semplice richiesta alle parti di mostrare un certificato anagrafico avrebbe consentito al notaio di accorgersi della falsità dei documenti d’identità esibiti dai contraenti in considerazione della discordanza, ad esempio, tra il numero di iscrizione all’anagrafe comunale riportato sulla carta di identità (falsa) di P. e quello recato dalla certificazione anagrafica (autentica)”.