Responsabilità ex art. 2051 c.c.- Natura oggettiva e non soggettiva – Irrilevanza della indagine sulla colpa – Caso fortuito – Nozione di custode –

Cassazione – terza sezione civile – Rel. Sestini – sentenza n. 11152 del 27/4/2023

Non è ulteriormente discutibile che la responsabilità di cui all’art. 2051 cod. civ. abbia natura oggettiva. Tale qualificazione ha ricevuto una definitiva conferma dalle Sezioni Unite di questa Corte con la decisione n. 20943 del 30/06/2022.

“Il caso fortuito appartiene alla categoria dei fatti giuridici e si pone in relazione causale diretta, immediata ed esclusiva con la res, senza intermediazione di alcun elemento soggettivo; mentre la condotta del terzo e la condotta del danneggiato rilevano come atto giuridico caratterizzato dalla colpa (art. 1227 I comma), con rilevanza causale esclusiva o concorrente (sul concorso tra causa umana e causa naturale, Cass. n. 21619/2007), intesa, nella specie, come caratterizzazione di una condotta oggettivamente imprevedibile ed oggettivamente imprevenibile da parte del custode.

  1. Va ancora osservato, in proposito, che sia il fatto (fortuito) che l’atto (del terzo o del danneggiato) si pongono in relazione causale con l’evento di danno non nel senso della (impropriamente definita) “interruzione del nesso tra cosa e danno”, bensì alla luce del principio disciplinato dall’art. 41 c.p., che relega al rango di mera occasione la relazione con la res, deprivata della sua efficienza di causalità materiale, senza peraltro cancellarne l’efficienza causale sul piano strettamente naturalistico. Ciò tanto nell’ipotesi di efficacia causale assorbente, quanto di causalità concorrente di tali condotte, poiché, senza la preesistenza e la specifica caratterizzazione della res, il danno non si verificherebbe (esemplificando: una strada perfettamente asfaltata e senza buche non sarà in relazione causale, se non naturalistica, con il danno subito dal pedone che inciampa nei suoi piedi).

VII. Il dato normativo va, pertanto, applicato governando la costruzione funzionale dell’illecito e raccordandola con la modulazione dei rimedi ad esso conseguenti, vale a dire tenendo conto che il sistema risarcitorio si fonda non solo sulla capacità preventiva della colpa (giustizia correttiva), ma anche sul soddisfacimento di esigenze meramente compensative (giustizia redistributiva, cioè il trasferimento del peso economico di un evento pregiudizievole dal danneggiato su chi abbia la signoria della cosa) e, non da ultimo, muovendosi con la consapevolezza che quello causale, essendo un “giudizio” utilizzato per allocare i costi del danno, deve essere calibrato in relazione alla specifica fattispecie di responsabilità; costituisce, difatti, il proprium della responsabilità civile il presentarsi “a geometria variabile, perché moltiplica le sue possibilità a seconda degli istituti con cui si fonde, facendo scattare principi anche solo lievemente diversi ma con implicazioni notevoli sulla allocazione finale dei costi, sulla prevenzione, sulla sostenibilità nel tempo della sua promessa (il risarcimento del danno)”.

VIII. L’irrilevanza della colpa, quale criterio per risalire al responsabile, è condizione necessaria ma non sufficiente per attribuire alla responsabilità di cui all’art. 2051 cod. civ. natura oggettiva. Essa fa giustizia di quei modelli di ragionamento che evocano la presunzione di colpa, la quale individua il fondamento della responsabilità pur sempre nel fatto dell’uomo – il custode – venuto meno al suo dovere di controllo e vigilanza affinché la cosa non abbia a produrre danno a terzi (Cass. 20/05/1998, n. 5031), ma non anche della teoria del riconoscimento di una presunzione di responsabilità in capo al custode, giustificata ritenendo che, se la cosa fosse stata ben governata e controllata, non avrebbe arrecato alcun danno, mentre se il danno si verifica (fatto noto) si presume che ciò sia avvenuto perché la cosa non è stata adeguatamente custodita (fatto ignoto); da tale presunzione di responsabilità il custode si libererebbe dimostrando, in ragione dei poteri che la particolare relazione con la cosa gli attribuisce, che il danno si è verificato in modo non prevedibile né superabile con lo sforzo diligente adeguato alle concrete circostanze del caso.

  1. Ritenere che sul custode gravi una presunzione di responsabilità – esclusa espressamente, come si è detto, dalla già ricordata pronuncia delle Sezioni Unite – è indice di una resistenza ad emanciparsi dalla colpa che, infatti, viene evocata in via surrettizia non per fondare, in via di regola, la responsabilità del custode, ma (comunque) per escluderla in via di eccezione. La capacità di vigilare la cosa, di mantenerne il controllo, di neutralizzarne le potenzialità dannose, difatti, non è elemento costitutivo della fattispecie di responsabilità, bensì elemento estrinseco del quale va tenuto conto alla stregua di canone interpretativo della ratio legis, cioè come strumento di spiegazione di “un effetto giuridico che sta a prescindere da essi”. L’intento di responsabilizzare il custode della res o di controbilanciare la signoria di fatto concessagli dall’ordinamento affinché ne tragga o possa trarne beneficio sulla cosa con l’obbligazione risarcitoria (Cass. 01/02/2018, n. 2480, § § 11 e 12) possono essere criteri di spiegazione del criterio scelto per allocare il danno, ma non sono elementi costitutivi della regola di fattispecie né elementi di cui tener conto per escludere l’obbligazione risarcitoria in capo al custode.
  2. Non è stata fornita una definizione normativa della custodia da parte del legislatore del 1942 perché l’art. 2051 cod. civ. si è limitato a tradurre l’espressione francese sous sa garde che appariva nell’art. 1384, 1° comma, Code Napoleon. Questa Corte (Cass., Sez. Un., 11/11/1991, n. 12019) ha, tuttavia, avuto già occasione di rilevare le diverse accezioni della portata della custodia come criterio di determinazione della responsabilità rinvenienti dalle fonti romane e ha ritenuto di poterle raggruppare nelle seguenti categorie: a) quella che si riallaccia alla configurazione giustinianea per cui la custodia non è che un particolare tipo di diligentia; b) quella custodiendae rei, la quale rimane un criterio soggettivo di responsabilità; c) quella più recente che individua il concetto di custodia nella responsabilità oggettiva. A quest’ultima, che “si concretizza in un criterio oggettivo di responsabilità, intendendo per tale quello che addossa a colui che ha la custodia della cosa la responsabilità per determinati eventi, indipendentemente dalla ricerca di un nesso causale fra il comportamento del custode e l’evento”, ha ricondotto quella rilevante ai sensi dell’art. 2051 cod. civ.
  3. Non può mettersi in dubbio che, per individuare il responsabile, non debba farsi riferimento alla custodia di fonte contrattuale (Cass. 18/02/2000, n. 1859; Cass. 20/10/2005, n. 20317), siccome l’articolo 2051 cod. civ. attiene ai rapporti con i terzi danneggiati dalla cosa oggetto di custodia, né possono nutrirsi riserve circa il fatto che, trattandosi di una relazione meramente fattuale, non sia giustificato un mero rinvio ad altri istituti come la proprietà, i diritti reali minori, il possesso, la semplice detenzione; la relazione giuridica con la cosa non è elemento costitutivo della responsabilità, a differenza di quanto previsto dagli artt. 2052, 2053, 2054 cod. civ., sicché responsabile ex art. 2051 cod. civ. può ben essere un soggetto diverso da quello che abbia un titolo giuridico sulla res (Cass. 6/07/2006, n. 153684), atteso che rileva esclusivamente la relazione di fatto di natura custodiale, a prescindere finanche dal se essa sia titolata. L’applicazione dell’art. 2051 cod. civ. si arresta soltanto dinanzi alle cose insuscettibili di custodia in termini oggettivi (acqua, aria): Cass. 20/02/2006, n. 3651.

XII. L’indeterminatezza della nozione di caso fortuito, talvolta declinato in termini di polivalenza, consente (è bensì vero) di considerare il fortuito tanto come limite della responsabilità per colpa quanto come limite della causa di imputazione della responsabilità. Nondimeno, quando il caso fortuito è evocato espressamente da una norma, come in questo caso, la sua nozione deve essere riempita di contenuto in correlazione con il contesto e con la ratio legis. Per quanto non decisivo, in orienta tal senso anche il tenore letterale dell’art. 2051 cod.civ (“Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”) se confrontato con quello dell’art. 2050 cod. civ. (“Chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno”), dell’art. 2053 cod. civ. (“Il proprietario di un edificio o di altra costruzione è responsabile dei danni cagionati dalla loro rovina, salvo che provi che questa non è dovuta a difetto di manutenzione o a vizio di costruzione”), dell’art. 2054 cod. civ. (“Il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo, se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno”).

XIII. Il contenuto della prova liberatoria non solo è stato tipizzato dal legislatore, ma è stato differenziato secondo la regola di fattispecie di volta in volta presa in considerazione; quando la prova liberatoria è costituita dalla ricorrenza del caso fortuito (cfr. anche l’art. 2052 cod. civ. “Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito”) è segno che il legislatore non ha voluto che il custode (o il responsabile di cui all’art. 2052 cod. civ.) possa liberarsi provando di avere tenuto un comportamento diligente volto ad evitare il danno né la dimostrazione che il danno si sarebbe verificato nonostante la diligenza da lui esigibile, data l’imprevedibilità e l’inevitabilità dell’evento dannoso, tantomeno che l’intervento del caso fortuito abbia reso oggettivamente impossibile la custodia (utili indicazioni a supporto, ma con carattere di minore prossimità, possono trarsi anche dalle ipotesi in cui il legislatore non ha previsto la prova liberatoria, come nelle ipotesi di cui all’art. 2049 cod. civ. e all’ art. 114 cod. consumo). “

 

Nella specie la sentenza censura quella di merito:

“Deve, infatti, considerarsi che:

la Corte ha fondato il rigetto della domanda ex art. 2051 c.c. sul mero rilievo di condotte colpose del Grasso (l’aver guidato un mezzo per il quale non aveva la necessaria patente di guida, il fatto che le condizioni della strada avrebbero dovuto essergli note per la vicinanza alla sua abitazione e la circostanza di avere percorso la strada dietro un furgoncino che non gli consentiva la visuale della strada), senza tuttavia preoccuparsi di verificare se le stesse avessero reso del tutto ininfluente la situazione di dissesto del manto stradale, ossia senza accertare se la condotta del danneggiato si fosse sovrapposta alla situazione della cosa in modo tale da degradarla a mera occasione dell’evento di danno;

in tal modo, la Corte ha sostanzialmente eluso l’accertamento del caso fortuito (limitandosi a richiamare due massime di legittimità in materia), erroneamente ritenendolo integrato dalla mera condotta colposa dell’attore, mentre, in mancanza di un siffatto accertamento, e quindi in difetto di prova liberatoria da parte del custode, avrebbe dovuto valutare l’eventuale concorso colposo del danneggiato alla luce dell’articolo 1227 c.c.. “