Corte di cassazione -sezione terza – relatore Rubino – ord. n. 5673 del 4\3\2025

Una signora si trova a centinaia di km dalla propria residenza e domicilio abituale, si sente male nell’albergo dove si trova, viene chiamato dal personale dell’albergo un medico la cui prestazione viene ritenuta dai giudici responsabile della morte successiva della donna. La Ausl si difende sostenendo che il medico intervenuto è un libero professionista non dipendente di detta azienda ancorchè convenzionato con la stessa. La Corte condanna l’Ausl in quanto responsabile ex art. 1218-1228 c.c., secondo l’indirizzo giurisprudenziale vigente all’epoca del fatto e poi, in continuità recepito dal legislatore nell’art. 7 legge n. 24\2017. E’ indubbio il diritto della paziente di ricevere le prestazioni del SSN  ai sensi dell’art. 19 della legge n. 833 del 1978, che prevede: ”Gli utenti hanno diritto di accedere, per motivate ragioni o in casi di urgenza o di temporanea dimora in luogo diverso da quello abituale, ai servizi di assistenza di qualsiasi unità sanitaria locale.” Dall’altra la Corte onera la Ausl della prova dell’assenza di alcun rapporto con il medico responsabile del decesso della paziente. Come poi previsto dagli Accordi Collettivi nazionali di categoria, il medico convenzionato non è obbligato a prestare la propria opera in regime di assistenza diretta ai cittadini non residenti (che non siano suoi assistiti), ma se accetta di prestarla, in favore appunto dei cittadini che si trovino eccezionalmente al di fuori del proprio Comune di residenza, eroga una prestazione che si inquadra nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale.